NILO MAROCCHINO


Il Dr. Nilo Marocchino al centro con Lucia Lorini.

Le vie per le quali l’espressione poetica si insinua, si presentano,spesso, come antri sconosciuti allo stesso poeta, varchi attraverso i quali il pensiero tenta una lettura degli accadimenti spesso logorati dalla realtà. Poesia come attimi di raccoglimento nei quali si riverbera la grande sensibilità poetica, un filo esile da agganciare alla vita in una ragnatela che attende di ricomporre i ricordi della vita.


IL PRIMO GIORNO D’ESTATE

Indugia la luce
di caldi
umidi vapori
nei campi di grano
al taglio pronti.
Schegge di cielo i fiordalisi
hanno azzurre parole ai miei occhi.
Anche la sera
ha vesti di trionfo l’estate.
Ombre più vaste attendo,
la prima stella
che da sempre appare,
quando, improvviso,
sento che è tardi,
che ha corso il tempo, inarrestabile.
Si risveglia la brezza
e così l’animo mio,
di meraviglie sazio,
ascolta e tace.


MARE

Tu
che non hai quiete
possiedi le prime e ultime parole
liquido mistero
in cui voglio naufragare
e dopo la tempesta
essere dimenticato
essere nulla
e tutto.


PER SAN GIOVANNI

Per il viottolo ho riscoperto le rosse ciliegie.
Il prato dimenticato dal contadino
Già è colmo d’erbe
e freme d’operosi insetti.
Nel cielo muovono le nubi,
sempre diverse e nuove.
Nella sera,
rinfrescata dal temporale,
tra fitte foglie,
vedremo imbrunire il cielo.
Cercheremo l’altura
Da cui guardare lontano,
nella notte.
Le montagne s’accenderanno di fuochi,
per San Giovanni,
o per numi pagani,
usciti prepotenti,
dall’animo nostro,
ignaro.
E, nella veglia del solstizio,
avverrà il miracolo dell’estate.


FUGGIRE


Collo di gazzella possedevi
ed occhi teneri, sicuri in apparenza,
ma fragili e facili al sorriso.
Sono fuggito.
Cosa temevo? Chissà.
Forse soltanto la banalità.
E tu, dal seno largo,
materno, generoso.
L’io, sempre di me padrone,
avrei dimenticato in te.
Tutto ho fuggito.
Dell’oblio il timore,
di quiete senza lotta,
di notti sempre uguali,
di noia e di stanchezza in cuore.
Cieli limpidi ho scelto.
Spesso, in solitudine, li osservo.
ma troppo nuda è la mia ombra,
nessuna nube la protegge.




ALLA MAMMA

Di te, mamma,
solo l’immagine bruna
alla parete.
Così, fin da fanciullo,
ti conobbi,
e il tuo sorriso era muto.
Era il tempo del taglio
e il grano cadeva rosso nei campi.
Tu scendevi al camposanto.
Io, ignaro, nella culla, in casa.
La vecchia zia il mio sonno vegliava.
A me nascoste,
non vidi allora scendere lacrime.
E’ giunto ora il tempo,
mamma,
di chiederti le carezze non date,
i sussurri inintesi,
i sorrisi perduti.
Tutto è compiuto.
E d’avermi lasciato, questo solo ho da rimproverarti.


L’ETERNO GIOCO

Mai vi fu fiamma uguale ad altra fiamma,
e nube in cielo uguale ad altra nube.
Così ogni giorno nasce
ed, instancabilmente,
il miracolo ripete;
eppure è nuovo.
Così l’animo mio
Sempre da nuove cellule rinasce
e tenta di capire
( e non comprende)
l’eterno gioco
( o beffa?)
in cui galleggia.



OSSERVANDO UN TAPPETO PERSIANO

Petali di fiori sul tappeto,
dove,
come gocce di rugiada,
si posano pensieri colorati.
Giardino in cui
azzurri uccelli trovano rifugio.
Fiocchi di neve i miei occhi
scendono leggeri,
sfiorano gemme,
e prima di morire,
con estrema scintilla,
danno un messaggio di gioia,
l’ultima luce.


IN RICORDO DELLA ZIA ADA

Scendeva tra schiume e riflessi,
i sassi bianchi e le larghe lapasse,
il Varajta.
Sognavamo dighe e castelli
nella sabbia,
dove l’acqua cercava la quiete.
Tu, intanto, facevi la maglia
e con amore
Seguivi i nostri giochi.
Come una mamma.
Tu, che non lo saresti mai stata.
Alla sera, già scura,
vario e continuo un fremito giungeva,
il rumore del fiume.
Misteri e paure scendevano dai monti.
Tu mi portavi nel letto
e, dopo l’ultima preghiera,
spegnevi il lume.
Oggi,
stordito dal chiasso e muto nel cuore,
non più sento la voce del fiume.
Solo il profumo dei larici,
d’erbe e di acque,
dice parole lontane nel tempo
che non so capire.
Oltre il bosco, in alto,
ultimo sogno,
San Maurizio, l’estrema borgata.
Ancora saprò ritrovarti
e tu mi aspetterai?
Lassù.



ANCHE SE

Anche se cieli di tempesta
peseranno sul mio capo
e gelidi venti di vecchiaia
strapperanno il faticoso respiro
e quando dalle montagne scenderà la neve
ad imbiancare i miei capelli,
nessuno saprà rubare ciò che resterà
degli amori sognati e non posseduti,
delle illusioni perdute
e del dolce dolore d’attesa
di ciò che manca e non so spiegare.



NEVICATA


Scende la neve nel bosco.
Il ramo imbianca,
in silenzio.
Un passero,
quieto,
nel nido riposa.
Sulla cima,
alto e solo,
nudo larice sfidi la tormenta.
Lontano,
dalla valle giunge un suono di campane.
Tronco solitario attendi
il mutare delle stagioni
che da sempre conosci.
Ai tuoi piedi
un animale cerca riparo sicuro.


Biografia.

Farmacista in Saluzzo.






 
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